by: Comitato Amici della chiesa Sant'Antonio di Padova a Cervia | data 30/07/2021
La multiforme rassegna di presepi, da quelli tradizionali a quelli di sale, da quelli animati a quelli viventi, realizzata nella nostra Città in occasione del Natale scorso, ha fatto riesumare in tanti Cervesi in là con gli anni, ricordi lontani della loro gioventù, quando era impensabile trascurare la visita al caratteristico presepe allestito nella Chiesa di Sant'Antonio. La visita a questo presepe rappresentava allora, per molti, un atto abitudinario che univa devozione a divertimento e quando poi vi si aggiungeva compiendola, l'incontro colloquiale con il suo autore, il buon don Celso sempre presente, allora la visita diventava addirittura esilarante.
Mi sembra assai utile, per i giovani che non l'hanno conosciuto però spesso lo sentono nominare, ed anche per gli anziani che lo rammentano vagamente, presentar loro una sintesi biografica del prete bizzarro che rallegrò la dura vita cervese di oltre mezzo secolo fa.
Don Celso Martini era nato a Bagnacavallo il 22 giugno 1884 e subito dopo la sua Ordinazione sacerdotale, nel 1906, fu inviato nella Diocesi cervese retta dal Vescovo Federico Foschi, e precisamente nella parrocchia di Cervia che allora comprendeva anche i territori, divenuti poi a loro volta parrocchie, della Pinarella, della Tagliata, di S. Andrea, di Montaletto, di Milano Marittima e della Malva Nord. Era il tempo in cui il Convento di Sant'Antonio, piuttosto diroccato, era stato trasformato in fabbrica di sandali mentre la Chiesa adiacente restava sempre aperta al pubblico a cura del suo Rettore, il reverendo don Paolino Venturi. Giunse don Celso e subito divenne l'aiuto sia del Rettore di Sant'Antonio e sia dei canonici della Cattedrale: in totale dieci canonici e sei mansionari.
Svelto, intelligente, volenteroso, il ventiduenne mansionario divenne elemento prezioso per la Chiesa cervese per la disponibilità, per l'esemplare servizio ministeriale e per la instancabile attività poliedrica. Lo documenta, fra le altre memorie, anche il modesto quadretto ex-voto da lui disegnato ed acquerellato, conservato in bacheca nella Chiesa di Sant'Antonio, rappresentante un incidente fortunoso accaduto nell'ottobre del 1906 durante i restauri al tetto di quella Chiesa.
Poi scoppiò la Grande Guerra e don Celso, chiamato alle armi, fu cappellano militare al fronte, soffrendo lunghi disagi e tragedie dolorose; fu anche ferito alla testa e poi fatto prigioniero e deportato in Austria.
L'insieme di questi avvenimenti drammatici e deprimenti gli causò un profondo trauma psichico che, anche se poi superato, lo condizionerà con alti e bassi per tutta la vita. A pace conclusa, liberato dalla prigionia, nel 1921 riprese il suo posto nella Diocesi cervese, ma il don Celso di prima ormai non esisteva più. Il suo comportamento ora alternava periodi di regolare servizio e di estro creativo validissimo, a momenti strani ed imprevedibili di bizzarrie che rasentavano l'anormalità. Anche molte cose attorno a lui erano cambiate. La Chiesa di Sant'Antonio era stata chiusa al culto e trasformata in magazzino con i banchi dei fedeli accatastati in un angolo, l'antico Convento era stato ristrutturato dal Comune e adibito a ricovero di dodici anziani inabili nel piano terreno ed a sette alloggi per famiglie indigenti al primo piano. Anche il vecchio Ponte sul Canale, dagli alti pilastri in muratura, era cambiato e due nuovi parapetti in ferro costruiti da Goliardo lo rendevano irriconoscibile. Pure la sua guida spirituale don Paolino, ormai ultraottantenne ed ammalato, era diventato debole e paralizzato. Rapido comunque scorre il tempo e altri avvenimenti incalzano. La Chiesa di Sant'Antonio è restaurata e viene riaperta al culto, don Paolino si trasferisce dalla via XX Settembre nella canonica accanto alla Chiesa rimessa a nuovo, ma non ce la fa più. Nel 1924 don Celso viene nominato Rettore al suo posto e va a coabitare nel la canonica cercando di offrire aiuto e conforto al vecchio prete invalido e di ridare impulso e vivacità alle funzioni religiose con il recupero dei vecchi e nuovi riti. Decide improvvisamente di far aprire una feritoia nel muro che separa la canonica dalla Chiesa per consentire a don Paolino di seguire le funzioni senza muoversi dalla sua cameretta e di ammirare gli addobbi e le novità che la mente dinamica del suo allievo sa produrre.
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